Anche quest’anno gli studenti del nostro Istituto hanno partecipato al concorso Mille e una storia organizzato dalla rivista L’Informazione. La premiazione è avvenuta il 24 novembre presso i Molini Marzoli di Busto Arsizio.
Il tema proposto ‘Se fossi un supereroe…’ è stato sviluppato da Alberto Silvestri di 5 V1 e il suo racconto, frutto di una riflessione dopo un viaggio nelle terre confiscate alla mafia, ha ottenuto la menzione d’onore.
SETTE RAGAZZI
Ci eravamo trovati, quella sera, con l’idea di aprire un locale. Eravamo in sette e avevamo dato appuntamento ad un commercialista che ci avrebbe dato una mano. Bisognava fare delle previsioni sull’impegno finanziario, i possibili creditori. Mettersi insieme era una scelta obbligata perché nessuno, qui al Sud, riesce a fare nulla da solo. Non basta un curriculum. E non bastano nemmeno le conoscenze, perché, ad un certo punto della serata, sul foglio comparve una cifra senza la corrispettiva voce di spesa. “Che cos’è?” chiesi. Gli altri si guardarono e poi guardammo tutti il commercialista. Quella cifra era il pizzo. Era così evidente. Non esiste la mafia, dice qualcuno, ma non la si vede bene fino a che non la si trova scritta in quel modo, come un ostacolo personale. Qualcosa quella sera si interruppe e non fu digerito. Mi ritrovai a scrivere, su un foglietto, questa frase: Un intero popolo che paga il pizzo è un intero popolo senza dignità”. Avrei voluto ricoprire la città con questa frase e quella notte non riuscii a dormire. La mattina feci vedere la frase a Laura, la quale mi disse che avremmo potuto davvero tappezzare la città con dei foglietti adesivi. Gli altri erano più demoralizzati. “Tanto a Palermo non succede niente”. Invece, non fu così. “Proviamoci lo stesso”. Ci siamo dati appuntamento alle tre di notte e fino alle cinque attaccammo gli adesivi per tutta la città. Lo sfogo di una notte, fissato sulle porte di tutto il centro, sui pali, sui muri, non passò inosservato. Arrivò addirittura il telegiornale e la notizia fece scalpore. Molti commercianti si ritrovarono in quelle parole, ma anche i cittadini, che comprano dai commercianti e anche il loro denaro si trasforma in pizzo. Insomma, si era capito che il pizzo riguardava tutti. Indistintamente. “Senza dignità” fu la frase che colpiva maggiormente, perché dentro la busta del pizzo non ci sono solo dei soldi, ma anche da dignità delle persone che pagano. Si mobilitarono le forze dell’ordine, la Procura della Repubblica e nel giro di tre mesi, per l’anniversario dell’uccisione di Libero Grassi, decidemmo un’altra azione simile. Sui cavalcavia della tangenziale di Palermo scrivemmo “Un intero popolo che si ribella al pizzo è libero”. Rimanemmo clandestini per ancora due anni, quando tutte le forze migliori ci vennero incontro. La vedova di Libero Grassi ci contattò e ci disse che eravamo i suoi “nipoti”. Fondammo un Comitato e ci fu data come sede di coordinamento di tutte le nostre attività un appartamento confiscato ad una famiglia mafiosa. C’era una legge che ci tutelava, la legge che sancisce il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia e che trovava applicazione concreta. Con l’eroismo di una notte, qualcosa a Palermo è successo.