A quarant’anni dalla morte di Aldo Moro e di Peppino Impastato, riportiamo qui la nota Miur Prot. 7655 del 3/5/18 e l’articolo di Silvia Morosi tratto dal Corriere della Sera di oggi.
Per non dimenticare.
Aldo Moro: il valore della scuola e della cultura in una società libera e democratica.
A quarant’anni dalla tragica scomparsa di Aldo Moro, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca intende ricordare la vicenda storica e umana di uno dei protagonisti della storia italiana contemporanea, per approfondire eventi fondamentali del nostro passato e per avvalorare tra le giovani generazioni il significato di una vita vissuta all’insegna del rispetto delle istituzioni repubblicane e della persona umana.
La sua figura di uomo di Stato emerge già alla fine della seconda guerra mondiale, quando nel 1946 Moro è eletto all’Assemblea Costituente come rappresentante della Democrazia Cristiana ed entra a far parte della Commissione dei Settantacinque che ha il compito di redigere il testo costituzionale. Da antifascista, democratico e cattolico il suo ruolo appare fondamentale nella definizione di quei principi che innervano la nostra carta costituzionale per costruire e ri-costruire sulla base dei valori di libertà, giustizia e solidarietà il tessuto morale e civile degli italiani, lacerato dalla dittatura fascista prima e dall’atroce conflitto mondiale poi. Negli anni successivi, ricopre alcuni fra gli incarichi governativi più importanti, compreso quello di Ministro della Pubblica Istruzione tra il maggio 1957 e il febbraio 1959, con il merito di introdurre l’educazione civica come materia di insegnamento nelle scuole medie, ritenuta indispensabile per formare fin dai banchi di scuola cittadini democratici e consapevoli, capaci di interpretare e realizzare una società aperta, plurale e democratica. L’attenzione alle esigenze delle studentesse e degli studenti e l’ascolto dei problemi dei giovani accompagnano in modo costante l’attività di Moro anche durante i momenti di massimo impegno politico e istituzionale come Presidente del Consiglio nel periodo del centro-sinistra “organico” (1963-1968) e negli anni dei governi di solidarietà nazionale (1976-1978). Uomo politico capace di coltivare strategie di ampio respiro, con lucida sensibilità avverte la maturazione di una gioventù che vuole sentirsi protagonista delle dinamiche della società e comprende il crescente fenomeno del disagio giovanile. Ecco le sue parole durante l’intervento del 19 marzo 1968 a Bologna nel convegno nazionale del Movimento giovanile della Democrazia Cristiana.
«Ed io sono qui, per dirvi che sentiamo questa vostra maturità e presenza, che abbiamo fiducia in voi, che cogliamo i tanti problemi che i giovani propongono, che siamo pronti a lavorare in ogni campo, perché si dia risposta ad ogni interrogativo e sia soddisfatta, nei limiti delle nostre possibilità, ogni vostra legittima esigenza. […] È segno questo della crescente partecipazione dei giovani, in posizione di responsabilità, alla vita culturale, sociale e politica del Paese. Essi non sono più solo destinatari di provvidenze, passivi beneficiari di una iniziativa burocratica dello Stato, in questo caso veramente inconcepibile. Invece, secondo una concezione moderna e democratica della società e dello Stato, i giovani sono, per la loro parte, protagonisti, gestori dei propri interessi, custodi dei propri ideali, liberi creatori del proprio avvenire e, in definitiva, di quello del Paese».
Il dialogo e il confronto con i giovani si alimentano anche grazie alla sua professione di docente universitario, intrapresa negli anni ’30 subito dopo la laurea nella Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Bari e proseguita poi presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma fino al giorno del suo rapimento, quando nell’auto abbandonata viene ritrovata, tra le carte scompaginate, anche la tesi di laurea di uno dei suoi tanti studenti che aveva educato e formato al riconoscimento dell’altro e alla ricerca del bene comune nel segno di una profonda umanità.
Il suo insegnamento e la sua testimonianza, ancora oggi attuali per rispondere alle sfide della società contemporanea, scuotono la coscienza di quanti hanno a cuore la sorte dei nostri ragazzi e dell’Italia.
Alla luce di questo pensiero di Aldo Moro si invita la comunità educante a riflettere sul ruolo dell’istruzione, dell’educazione e della formazione per una scuola del rispetto reciproco e per una società fondata sui diritti inalienabili dell’uomo, dedicando nella giornata del 9 maggio momenti di ricerca e lettura di saggi dagli scritti e discorsi dello statista scomparso.
«Mi pare in sostanza che nel nostro Paese non vi sia ancora, e si debba invece creare quello stato d’animo che si dispone a rendere omaggio all’infanzia ed all’adolescenza come espressione della vita che cresce e, crescendo, si corregge di vecchi errori e si afferma in nuova verità ed umanità. Per i giovani c’è nel nostro Paese tenerezza e cura, ma essi non sono come dovrebbero, il centro della vita, coloro ai quali si subordina ogni interesse, coloro che rappresentano la parte migliore di noi e nei quali soltanto perciò la nostra vita si compie e assume pieno valore».
(da Scuola ai margini, discorso presso Iniziativa democratica, gennaio 1952, in A. Moro, Scritti e discorsi, a cura di G. Rossini, 6 voll., Roma, Cinque Lune, 1982-1990, II, pp. 539-540).
L’eredità intellettuale e morale di Aldo Moro costituisce un significativo riferimento di studio e approfondimento per le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti del nostro Paese.
Il Direttore Generale
Maria Assunta Palermo
9 maggio 1978, il giorno della morte di Aldo Moro e Peppino Impastato
Due vite diverse e due tragedie che si sono intrecciate nello stesso giorno. Unendo il Nord e il Sud, la Capitale e la provincia, nell’Italia degli Anni di Piombo. Il 9 maggio del 1978, 40 anni fa, il Paese perdeva due figure simbolo della sua Storia. La mattina di quel giorno, all’interno di una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, a Roma (a metà strada tra piazza del Gesù, sede nazionale della Dc, e via delle Botteghe Oscure, quartier generale del Partito comunista), la polizia ritrovò il corpo senza vita di Aldo Moro. Il Presidente della Democrazia Cristiana era stato rapito 55 giorni prima, in via Fani, dalle Brigate Rosse e detenuto nella cosiddetta «prigione del popolo»: era accusato dai terroristi di essere l’artefice della cosiddetta «strategia dell’attenzione» verso il Pci, per contrastare la «Strategia della Tensione». A segnalare la presenza del cadavere era stata la telefonata del brigatista Valerio Morucci. Solo qualche ora prima, nella notte tra l’8 e il 9 maggio, a centinaia di chilometri (1.497, per l’esattezza), perdeva la vita anche il giornalista siciliano Giuseppe Impastato, un nome meno conosciuto al grande pubblico. «Peppino», come era noto nella sua terra, dopo aver rotto con la famiglia — nella quale figuravano anche alcuni mafiosi — si era speso in prima persona per denunciare la criminalità dai microfoni di «Radio Aut», a Cinisi. Dall’emittente criticò, in maniera spesso ironica, gli affari dei criminali locali, in particolare quelli del boss Gaetano Badalamenti, ribattezzato «Tano Seduto».
La morte scambiata per suicidio
Il cadavere dell’attivista venne imbottito di tritolo e fatto saltare sui binari della linea ferroviaria Palermo-Trapani, tanto che all’inizio la sua morte venne scambiata per un suicidio. Cosa Nostra voleva farla passare per un fallito attentato terroristico. «I carabinieri lo trovano la mattina e comunicano la morte di un terrorista rosso, mentre stava per compiere un attentato», scrive Enrico Deaglio in «Patria, 1978-2008». Solo la determinazione della madre di Peppino, Felicia (morta il 7 dicembre 2004, a 88 anni), e del fratello Giovanni, fece emergere la matrice mafiosa dell’omicidio, riconosciuta nel maggio del 1984 dal tribunale di Palermo. Nel maggio del 1992 i giudici decisero l’archiviazione del caso, ma nel 2002 — dopo la riapertura chiesta dal Centro di documentazione di Palermo — Badalamenti fu condannato all’ergastolo come mandante.
Un giorno in memoria delle vittime del terrorismo
A far conoscere la figura di Impastato al pubblico è stata anche la pellicola «I cento passi» del regista Marco Tullio Giordana (2000), ricordando la distanza che separava, a Cinisi, la casa degli Impastato da quella dell’assassino. Scegliendo come giorno l’anniversario dell’uccisione di Moro, con la Legge numero 56 del 2007, la giornata del 9 maggio è stata dedicata a «tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice». Modelli positivi di impegno civile e morale. Perché, come ricordò nel 2015 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «ricordare significa anche non rassegnarsi mai nella ricerca della verità».
Silvia Morosi, “9 maggio 1978: il giorno della morte di Aldo Moro e Peppino Impastato”, Corriere della Sera, 9 maggio 2018.